Era il 2017 quando Rick Alverson, già apprezzato regista e filmaker, dopo l’esperienza Spokane dei primi anni 2000, insieme alla compagna di vita Emilie Rex fondò i Lean Year. Un connubio che quell’anno ha dato vita al delizioso album d’esordio omonimo a cui solo oggi il duo di Richmond (Virginia) è riuscito a dare un successore. Una lunga attesa ripagata dal risultato sopraffino di “Sides”, nove brani registrati in condizioni difficili e proprio per questo ancora più significativi: la morte di entrambi i genitori di Alverson, la malattia della madre di Emilie Rex hanno inevitabilmente influenzato un disco dove il lutto è una presenza costante ma non invasiva, mitigata dalla delicatezza dei suoni e dei testi.
Non è un ritorno cupo, triste, deprimente quello dei Lean Year ma decisamente nostalgico, fin dalla foto in copertina che ritrae la madre di Rex da giovane con quel sorriso radioso e un po’ riservato di chi la sa lunga. La voce di filigrana di Emilie e il sassofono di Elliot Bergman legano tra loro canzoni in bilico tra jazz, post rock, elettronica. Passi lenti e riflessioni, sussurri e gentilezza, la dolorosa intensità di “Legs” e “Nitetime”, la melodia vocale limpidissima di “End” trasportano oltre mille confini. Prodotto da Rick Alverson e Erik Hall, “Sides” brilla di luce propria ed è veramente difficile resistere al morbido fascino di “The Trouble With Being Warm” o “Marriage of Heaven and Hell” e “Panes”.
Il numero di strumenti coinvolti è decisamente aumentato rispetto al passato, oltre a piano, basso, chitarra, batteria, sintetizzatori, troviamo anche kalimba, organo, Wurlitzer, Mellotron, tutto a vantaggio di un sound mai scontato che rimane sempre fedele a se stesso. Le tastiere di Joseph Shabason (Destroyer, The War on Drugs) accompagnano “Home” in un finale toccante e cristallino. “Sides” ha il passo di “A Crow Looked at Me” di Phil Elverum, la grana del Sufjan Stevens più confessionale, malinconia di quella buona che può nascere solo dai bei ricordi e dalla dolcezza che ispirano.